Prova a immaginare la sensazione di essere il protagonista di uno spot pubblicitario in cui servi così forte che la palla rimane bloccata nella terra.
Prova ora a immaginare la sensazione di perdere una finale di Wimbledon 16-14 al quinto set, vincendo più game del tuo avversario.
Potenza e impotenza. Potremmo definire con queste due parole la carriera di Roddick.
Andy Roddick nasce il 30 agosto 1982 nel cuore degli Stati Uniti, a Omaha. La città, che qualche decennio prima aveva dato il nome a una delle cinque spiagge dello sbarco in Normandia, sembra quasi un presagio per il futuro bombardiere del tennis.
Si appassiona al tennis grazie a suo fratello maggiore, John, grande promessa junior del tennis statunitense, e all’età di 15 anni fa il suo esordio nei tornei internazionali di categoria.
Nonostante qualche torneo vinto, i grandi risultati tardano ad arrivare. È solo grazie alla tenacia del suo coach Tarik Benhabiles, che la carriera di Roddick evita di arenarsi prima ancora di decollare. Tenacia che verrà ripagata in poco tempo. Nel 2000 domina il circuito junior, conquistando la vetta della classifica, gli Australian Open e gli US Open.
La carriera tra i grandi prende il volo con l’inizio del nuovo millennio, e i risultati non tardano ad arrivare: a meno di 20 anni, ha già conquistato 3 titoli ATP. Il 2001, però, sarà ricordato anche come l’anno in cui, sul campo, incontrerà Roger Federer: il suo più grande avversario, destinato a infrangere tutti i suoi sogni.
Nel giugno del 2003, complice uno sfortunato Roland Garros, Roddick decide di chiudere la sua collaborazione con Benhabiles e si affida a Brad Gilbert definito da Agassi come “il miglior coach di tutti i tempi”. Scelta per il futuro? Neanche per sogno. I risultati arrivano immediatamente e ad agosto Roddick vince tutto. Doppietta nei due Masters 1000 nordamericani di Montréal e Cincinnati e trionfo agli US Open, lo Slam di casa.
A 21 anni Roddick è il numero uno del mondo. Il nuovo fenomeno americano è qui ed è pronto a restare.
Le cose in realtà non vanno come da copione e il 1° febbraio 2004, dopo sole 13 settimane, è costretto ad abdicare. Federer si prende la prima posizione del ranking. Inizia il dominio dello svizzero che rimarrà in testa per 237 settimane consecutive.
La carriera di Roddick prosegue a livelli altissimi. Tra il 2004 e il 2006 gioca altre tre finali Slam, due a Wimbledon e una agli US Open. Le perde tutte contro Federer, il Federer imbattibile di quel triennio, capace di vincere 247 partite al cospetto di sole 15 sconfitte. Numeri senza logica.
Nel 2008, dopo diversi avvicendamenti sulla sua panchina, sceglie come nuovo allenatore Larry Stefanki, ex coach di McEnroe, che lo accompagnerà fino al ritiro e lo aiuterà a migliorare il suo vero tallone d’Achille: il rovescio.
I frutti del lavoro si vedono con l’inizio del 2009. Semifinale agli Australian Open, quarto turno al Roland Garros e terza finale a Wimbledon.
Chi c’è ad attenderlo? Sempre lui, Roger Federer, pronto a riprendersi il trono ai Championships, strappato l’anno prima da Rafael Nadal.
Roddick si dimostra all’altezza della situazione e arriva a giocarsi tutto al quinto set, senza aver mai ceduto il suo servizio. L’ultimo parziale è uno di quelli destinati a entrare nella storia. Sul punteggio di 8 game pari (fino al 2019, il tie-break a Wimbledon nel quinto set non esisteva) Andy ha due palle break consecutive, ma non le sfrutta. La partita va avanti fino al 14-15. L’americano va a servire e in un game in cui stecca tre palle di diritto è costretto ad arrendersi, dopo più di 4 ore di battaglia.
39 game vinti, uno in più di Federer, non sono bastati per vincere il trofeo più ambito. Dopo il match Roddick dirà semplicemente “ho perso”.
Nel 2012, dopo essersi tolto la soddisfazione di battere Federer, in quello che sarà il loro ultimo incontro, all’età di 30 anni e nonostante una classifica ancora di tutto rispetto, decide che gli US Open saranno il suo ultimo torneo. Un’uscita di scena perfetta, per ricevere la meritata standing ovation del suo pubblico.
Si chiude così una carriera ricca di successi: 32 tornei vinti, tra cui uno Slam e 5 Masters 1000, oltre alla vittoria della Coppa Davis nel 2007.
Dopo il ritiro, nel 2017, Roddick viene introdotto nella International Tennis Hall of Fame.
A partire dal 2024, conduce un podcast che si chiama “Served with Andy Roddick“, dove ovviamente parla di tennis.
Dal punto di vista del gioco, Roddick prediligeva uno stile offensivo da fondo campo ma non disdegnava le discese a rete.
Il servizio era il suo colpo più forte nonché uno dei servizi più efficaci della storia. La prima palla viaggiava a una media superiore ai 200 km/h con un picco raggiunto di 249 km/h, che è stato per qualche tempo il servizio più veloce mai registrato. Alla velocità univa una rapidità di esecuzione tale da lasciare spesso immobili i suoi avversari, tanto che riuscì a servire 7 ace consecutivi contro Hewitt, non proprio l’ultimo dei ribattitori.
Quando non chiudeva il punto direttamente con la battuta, poteva contare sul diritto, un altro colpo di altissimo livello, che giocava comodamente da entrambi i lati del campo.
Il suo punto debole era invece il rovescio, che giocava a due mani e risultava poco fluido, col quale solo in rare occasioni riusciva a essere efficace.
Mentalmente Roddick soffriva nei momenti decisivi, soprattutto quando si trovava di fronte a giocatori superiori. Questo spiega in parte il pesante bilancio della sua carriera contro Federer: solo 3 vittorie e ben 21 sconfitte.
Iconici erano i suoi outfit oversize firmati Reebok, così come la sua routine prima di servire: sistemava il cappello, aggiustava la maglietta, prima la spalla destra e poi la sinistra. Forse era questo il segreto del suo servizio.
Roddick ha vissuto sulla propria pelle l’inizio di una delle epoche più brillanti nella storia del tennis: dal periodo di onnipotenza di Federer all’ascesa di Nadal, seguita poi da quella di Djokovic. Probabilmente, se fosse arrivato qualche anno prima, oggi parleremmo di lui in un altro contesto, e non come dell’ultimo numero 1 prima dei Big Three.
Andy Roddick, l’ultimo degli umani.
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